Sapete quanti suoni ci sono in un viaggio? Sapete quali sono i rumori di un viaggio?
L’uso dei cinque sensi in viaggio non conosce momenti in cui uno senso prevale sull’altro, tendenzialmente la vista sembra essere quello preminente forse perché “offre maggiore “panoramicità” rispetto al “toccato” al “gustato o “all’udito”.[1]
Aristotele nella Metafisica parlava già dell’importanza attribuita dalla società alla vista: “Tutti gli uomini hanno per natura il desiderio di conoscere; il piacere causato dalle sensazioni ne è la prova, perché al di là della loro stessa utilità esse ci premono per se stesse e più di tutte le sensazioni visuali. In effetti, non soltanto per agire, ma anche quando non ci proponiamo nessuna azione, noi preferiamo per così dire, la vista a tutto il resto.”[2]
Anche i ricordi dei nostri viaggi sono prevalentemente foto e video, dai quali rievochiamo i ricordi specialmente visivi. Ma non cadiamo nel banale errore di reputare l’udito un senso facilmente trascurabile, di cui si può fare “troppo facilmente” a meno.
L’esperienza del viaggio è tale perché ogni senso si tuffa e si immerge nell’ esplorazione. Ogni senso viaggia alla scoperta del nuovo. Basti immaginare il suono delle campane delle più maestose chiese e cattedrali che svettano in tutto il mondo, i suoni della flora e della fauna degli spazi verdi, o quelli del mare, i rumori del traffico delle grandi metropoli, l’avviso di una nave che arriva o parte da un porto, le rotelle dei trolley che si muovono frenetiche sui pavimenti delle stazioni e degli aeroporti, gli annunci dei ritardi, il rumore della macchinetta fotografiche che scatta una foto. Tutti questi elementi costituiscono quello che viene chiamato “paesaggio sonoro” o soundscape, termine coniato per la prima volta da Murray Schafer nel 1977 nel suo libro, The tuning of the world. Schafer lo ha definito come l’ambiente sonoro che ci circonda e in cui siamo totalmente e costantemente immersi, così come è percepito da un individuo che interagisce con il mondo che gli sta intorno, creando relazioni con esso. Il paesaggio sonoro rappresenta la colonna sonora della nostra esistenza, dai suoni che intercettiamo involontariamente a quelli che invece cerchiamo, per esempio recandoci a teatro per ascoltare l’esecuzione di un concerto, alle composizioni musicali. Pertanto, la definizione di paesaggio sonoro rappresenta una categoria generale e include sia l’ambiente sonoro che circonda un soggetto, sia le relazioni che un individuo costruisce con esso, in base alla propria sensibilità ed educazione, ponendo così in posizione centrale la questione dell’ascolto.
Per Schafer il paesaggio sonoro è costituito da tre elementi: le toniche, quegli elementi che vengono considerati lo sfondo acustico di un determinato territorio di derivazione naturale come ad esempio le onde del mare, suono degli uccelli, foreste, vento etc.; i segnali, suoni in primo piano ascoltati consapevolmente che svolgono la funzione di avvertimento acustico: clacson, campane, fischi etc.; e infine le impronte sonore, cioè quelle che attribuiscono “un carattere di unicità alla vita di una comunità”[3]sono quindi di dotate di particolari proprietà che contribuiscono a determinare l’identità culturale del luogo.
Ma ci sono molte persone che vivono in un silenzio costante forzato o in situazioni di semi silenzio: i sordi, ai quali manca del tutto, o in gran parte, la percezione uditiva.
In che relazione si pongono quindi le considerazioni finora fatte sul paesaggio sonoro e sull’esperienza uditiva durante un viaggio con la sordità?
Per i sordi il paesaggio sonoro praticamente non esiste; così vivono ciò che li circonda attraverso gli altri quattro sensi e, forse per questo motivo, molto spesso questi quattro sensi rimanenti sono più affinati rispetto a quelli di un normoudente che è abituato a darli per scontato.Il paesaggio visivo quindi assumerà per queste persone un’importanza fondamentale, sapranno individuare dei dettagli che al resto della gente sfuggono, dato che attraverso la vista si fonda tutta la loro esperienza.Qualcuno potrebbe pensare che con la mancanza della percezione dei suoni la vita sia incompleta, ma su questo punto ritengo opportuno fare una distinzione.Per questa osservazione bisogna distinguere i sordi dalla nascita da quelli che lo sono diventati nel corso della loro vita.
Nel primo caso si tratta di persone che non hanno mai avuto esperienza di effetti acustici e paesaggio sonoro, quindi hanno imparato da subito a “vedere” il mondo, e forse addirittura non sentono la mancanza dei suoni. Quando sono in viaggio e visitano dei luoghi, la vista, il tatto, il gusto e l’olfatto per loro sono tutto: attraverso di essi registrano dei ricordi particolari e unici che arrivano a compensare la mancanza di udito.
Ci sono poi i sordi diventati tali nel corso della loro vita; questa particolare categoria ha potuto per un periodo più o meno breve avere coscienza del paesaggio sonoro e di conseguenza è la categoria più sensibile alla mancanza di udito: così hanno potuto sperimentare come sia la differenza tra un mondo silenzioso e un mondo pieno di rumori e per questo motivo emotivamente più vulnerabili. Potrebbero vivere la loro sordità come un peso rispetto ai sordi dalla nascita ma, se non altro, a differenza di questi ultimi, ripensando a delle esperienze vissute (che siano di viaggio o anche no) nella loro mente riescono ad associare i luoghi a dei suoni.
Un’ultima categoria è quella dei sordi che tornano a sentire grazie all’apparecchio acustico o all’impianto cocleare. Queste persone devono essere educate all’ascolto del paesaggio sonoro perché esso prorompe nella loro vita improvvisamente e loro non sono preparate; ma una volta abituato e “allenato” l’orecchio all’ascolto, così si sentono totalmente diverse. A questo proposito è interessante citare l’esperienza del 1997 di Martina Gerosa, all’epoca trentenne, affetta da sordità neurosensoriale bilaterale probabilmente causato da un trauma post-natale. La sua esperienza ricorda quasi il famoso racconto “Un paio di Occhiali” di Anna Maria Ortese, tratto da “Il mare non bagna Napoli” nel quale Eugenia, una bambina miope di cinque anni, vede per la prima volta il suo quartiere nitidamente dietro un paio d’occhiali, esperienza talmente travolgente da farle perdere i sensi.
“Appena indossate le nuove protesi endo auricolari mi ha raggiunta un ronzio a me sconosciuto fino a quel momento: mi viene prontamente detto che è la ventola del computer… accidenti, era meglio non sentirla! Ma cercando di superare questo piccolo fastidio iniziale, ho iniziato un’esplorazione, non ancora conclusa, che soprattutto i primi giorni mi ha veramente elettrizzata. Fin dall’inizio ho colto le voci delle persone che mi stanno intorno in un modo completamente nuovo.
Innanzitutto mi raggiungono, non sono io che devo approssimarmi ad esse e, anche, sincronizzarmi ossia mettermi in ascolto di esse. Su questo, che ho chiamato “duplice movimento”, mi sono soffermata particolarmente in un appunto del 5-6 luglio. Inoltre, le voci in se stesse mi sembrano fin da subito diverse, forse più basse (dolci?), senz’altro più autentiche, meno falsate (filtrate?) attraverso la differente e più lunga via “apparecchio-tubicino-chiocciola” delle protesi acustiche retroauricolari.
Comincio a mettere a fuoco un paesaggio sonoro fino ad oggi confuso, in cui i diversi suoni e rumori erano accavallati l’uno sull’altro al punto da non poterli discriminare e quindi conoscere! Inizio l’esplorazione andando sulla strada accompagnata da Lucio, un tecnico del laboratorio. Il traffico è molto intenso, passeggiamo sul marciapiede, ascolto i rumori della strada e a poco a poco metto a fuoco la pluralità dei rumori e suoni… dei diversi mezzi di locomozione e addirittura riconosco le diverse fasi avvio-accelerata-arresto-… di ciascun mezzo (autobus, vespa, auto di grossa cilindrata ecc.).
Nonostante il forte traffico mi giunge nitida la voce di chi mi parla passeggiando, posso quasi distinguere le parole che prima potevo cogliere solo attraverso il preziosissimo ausilio della lettura labiale. Mi ascolto, sento la mia stessa voce in un modo nuovo, con l’impressione di sentirmi dentro e non fuori, “voce-distaccata-da-me” diventa “voce-in-me”.
È proprio un mondo per certi versi mai conosciuto a cui mi affaccio timidamente, con la sensazione che ci voglia tempo per imparare… e ciò mi viene subito confermato. In una piazza ci avviciniamo a un gruppo di alberi con un fogliame molto fitto, tutt’a un tratto sento qualcosa: “una sirena?” domando, “no, sono gli uccelli che cinguettano negli alberi” mi risponde tranquillo Lucio. Incredibile, non avevo mai sentito il canto degli uccelli a quella potenza. Ci vuole proprio un’educazione ai rumori, suoni e anche alle voci; in fondo è stato così fin dal primissimo momento (quando mi era stato rivelato da dove venisse il fastidioso rumore di fondo, facendomi conoscere la ventola del computer).
L’impressione finale, che ricavo dalle primissime ore di esplorazione del mondo con le nuove “orecchie”, è di essere dentro a un cambiamento enorme difficile da descrivere, ma che una metafora visiva mi aiuta ad esprimere. Mi sembra infatti di scorgere in una maniera completamente diversa il paesaggio sonoro: in prospettiva invece che in assonometria o addirittura, più radicalmente, di passare a una più ricca visione tridimensionale da quella appiattita nelle due dimensioni.
E all’interno di questo paesaggio inizio a scorgere la vasta gamma dei colori, anzi delle tonalità dei possibili grigi (rumori, suoni, voci…), non solo le principali nero-grigio-bianco. Sto sperimentando una meravigliosa evoluzione, quasi una rivoluzione! del mio modo di udire, sicuramente non ancora conclusa, che richiederà nuove verifiche e aggiustamenti delle protesi, proprio fatte “su misura”.
Sento come fondamentale e ormai irrinunciabile proprio questa possibilità che mi è offerta di comunicare scoperte e problemi, che via via emergono, per ricercare sempre nuove soluzioni verso il costante miglioramento del mio ascolto e quindi della mia qualità di vita.”[4]
[1]Raffestin C., Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio. Elementi per una teoria del paesaggio, Allinea editrice, 2005.
[2]Raffestin, 2005, p.11
[3]Schafer M., Il paesaggio sonoro, Milano, Ricordi-Lim, 1985.
[4]Gerosa M., “Un viaggio alla scoperta del paesaggio sonoro. Luglio – settembre 1997”, in Parliamone, notiziario a.l.f.a., Novembre 1997